RACCONTI
I vecchi uomini di Arenai
Genere Fantasy
Autore Alfredo Mogavero
Email alfredomog@tiscali.it
Scrivo queste ultime righe nella speranza che sopravvivano a me ed ai miei compagni, affinchè non veniamo dimenticanti nel nuovo mondo che sta per sorgere. Il mio nome è Sorin Bergemont, e sono niente. Ero uno dei servitori personali del principe, ma adesso che che la famiglia reale giace in un lago di sangue nella Sala del Suicidio non sento d'avere più un'identità, giacchè più della metà dei miei cinquantadue anni di vita è stata spesa ad accudire il giovane re Albror prima, e suo figlio il principe Sacha poi. Chi troverà questo manoscritto ( se mai verrà trovato ) si chiederà certamente perchè le cronache degli ultimi momenti del regno di Arenai siano state affidate ad un umile e vecchio servo, una nullità come me. La ragione è che, tra i sopravvisuti, sono l'unico capace di scrivere. Il bardo di corte si è lanciato dalle mura del castello dopo aver composto una maledizione in versi rivolta agli Invasori, e tra i prodi cavalieri e gli altéri nobili con cui condivido le ultime ore non c'è nessuno che conosca l'alfabeto. Adesso che la morte si avvicina sembra che si siano accorti di me per la prima volta, liberati da quei ruoli che imponevano loro di trattarmi come un animale, di non posare mai lo sguardo su di me, di punirmi duramente ad ogni errore. E' strano e comico il modo in cui giaciamo in questo gran salone, poveri servitori assieme a importanti personaggi, aspettando tutti che si compia un destino oramai inevitabile.

Ser Driskoll sta affilando per l'ultima volta la sua spada, ma non credo che s'illuda di poterla usare contro gl'Invasori. Penso che voglia piantarsela nel petto, perchè nei suoi occhi leggo lo stesso barlume di follia che scintillava nello sguardo dei reali prima d'entrare nella Sala del Suicidio, o in quello di Alenna prima di tagliarsi la gola da parte a parte davanti a nostro figlio Elshan. Elshan è qui accanto a me, mentre scrivo. E' riuscito finalmente ad addormentarsi, ma si agita nel sonno ed i suoi lamenti mi riempiono il cuore di pena, perchè sognavo per lui un avvenire luminoso, ed invece lo vedo condannato a morire, per di più con il ricordo di una scena terribile a tormentarlo fino al sopraggiungere del momento finale. Ha solo diciassette anni, diciassette anni! Non piango per Alenna, so che è in un posto migliore e presto, molto presto, la raggiungeremo anche io ed Elshan. Solo vorrei che non lo avesse fatto davanti al ragazzo, e ripensandoci, avrei anche voluto essere lì per darle un ultimo bacio. Come lei, centinaia di persone nel castello hanno preferito una morte rapida ad una fine da topi in trappola, ed io non posso certo biasimarli. Se sono ancora qui è perchè voglio dimostrare a mio figlio che sono in grado di affrontare il mio destino fino all'ultimo istante, che anche un servitore può ricevere una fine dignitosa se il suo animo è coraggioso. In realtà la paura di essere preso vivo da quelle...creature mi attanaglia il cuore e fa tremare la penna tra le mie dita, ma la decisione è presa e spero d'essere abbastanza forte da non ritornare indietro. E' così facile scegliere di darsi la morte quando dalla finestra scorgi un esercito sterminato di Nuovi Uomini le cui vesti sono fatte di pelle umana e nei cui cuori ( se cuori battono all'interno dei loro petti tatuati ) non v'è spazio alcuno per quelli che noi chiamiamo sentimenti. Credevo che Luthor il boia fosse un uomo crudele perchè eseguiva le decollazioni ridendo soddisfatto. Ho visto i Nuovi Uomini radunare fanciulli in un recinto e con essi nutrire le loro belve da battaglia ed ho capito che sbagliavo. Sono il popolo che dominerà su tutto e tutti, perchè non permettono alla loro malvagità di sopraffarli, attingendo ad essa in modo paurosamente pratico ed efficace, mai folle come invece usavano fare gli sciocchi regnanti di un mondo che scompare. Nemmeno davanti ad una minaccia così tremenda i re, i conti, i duchi e i signori della guerra sono riusciti a far fronte comune per sperare di poter contrastare questi formidabili invasori, e la loro disfatta è l'unica cosa che mi consola mentre aspetto di morire tra queste quattro mura, all'interno di questa tomba che una volta era la fortezza di Arenai, la terra che non conosceva sconfitta.

Guardo lord Mishiman e sua moglie Zarna. Poco prima che tutto iniziasse a finire il loro figlioletto di dieci anni volle provare su di me l'efficacia dei dardi della sua piccola balestra, ed io, che osai scansarmi, fui punito da lord Mishiman con sedici frustate ch'egli m'inflisse personalmente con il beneplacito del re mio signore. Ora che li vedo lì a terra, i volti fissi nel vuoto, le mani intrecciate in una preghiera stanca e inutile, non riesco nemmeno più a provare odio per loro. Il bambino è stato schiacciato dalla folla in fuga all'arrivo degl'Invasori, e da allora non li ho più uditi pronunciare una singola parola. Non riesco a capire perchè non abbiano ancora commesso suicidio, probabilmente sono troppo vigliacchi o così stupidi da sperare che gli dèi aiuteranno i loro ultimi figli a sconfiggere i Nuovi Uomini. Ma gli dèi non esistono, o sono morti, oppure giacciono impotenti sui loro troni di marmo, lasciandoci alla mercè dell'orda ch'è sbucata dalla Montagna del Miasma e che ora preme alle porte della fortezza, levando bestiali urla in una lingua che nessuno riesce a decifrare.

Sento la stanchezza gravarmi sulle palpebre, e non posso che desiderare di addormentarmi per l'ultima volta. Che mi attenda un paradiso di luce perpetua oppure l'eterno nulla poco m'importa, giacchè niente potrebbe essere peggiore dell'incubo che stò vivendo qui, mentre sono ancora carne ed ossa, e questo in una qualche misura mi è di conforto. Credo che riposerò un poco...

Un boato mi ha richiamato dall'oblìo in cui ero sprofondato con gratitudine ore prima. Elsham è sveglio e spaventato accanto a me, ma degli altri non v'è traccia. Accostandomi alla finestra ho visto ciò che temevo: gl'Invasori hanno sfondato la grande porta di ferro della fortezza e si stanno riversando all'interno del cortile principale. Dèi del cielo e dell'inferno, sono decine di migliaia! Il mio pugnale, è ora di farla finita...

Un pensiero folle mi ha convinto alla fine a rimandare il gesto estremo cui mi ero risoluto. Stiamo scendendo, io ed Elsham, veloci e furtivi come pantere nella notte, terrorizzati come scoiattoli inseguiti da un'aquila reale. Attraversiamo un corridoio ingombro di armature rovesciate; elmi ed altre parti di corazze sono dappertutto sul pavimento, ultime vestigia dello splendore guerriero del regno che muore, trofei da esibire per la razza dei Nuovi Uomini che verrà. Scendiamo ancora, scavalcando cadaveri dai polsi squarciati riversi sui gradini di una gran scalinata, alla fine della quale giungiamo agli alloggi della plebe. Tutto odora di morte e disperazione, e faccio appena in tempo a coprire gli occhi di Elsham con la mia mano quando m'imbatto in un'intera famiglia di servitori che penzola da una trave del soffitto. Cambiamo strada, diretti alle stanze che furono nostre, e nella piccola cucina con le pareti crepate ed il tavolo traballante mi sembra di scorgere Alenna che prepara la cena, ma l'ombra scompare nel tempo d'un battito delle mie vecchie palpebre, ed io so di non avere tempo per fermarmi a rincorrere i fantasmi. C'è un corridoio alla fine del quale una porta si apre sul cortile. Il rischio è quello di trovarsi faccia a faccia con gl'Invasori, ma il coraggio dei disperati ci spinge ad osare, ed Elsham mi segue anche se non ha idea di dove lo stia conducendo. Sento per la prima volta la sua fiducia, sento la sua vita nelle mie mani, e mi fermerei ad abbracciarlo, se non fossimo in una situazione in cui ogni istante è prezioso ed ogni rallentamento può significare la morte, o peggio ancora la cattura.

Siamo dall'altra parte. La pesante porta che conduce alle segrete ha ceduto, ma le scale buie che scendono nel sottosuolo ci lasciano esitanti, pur consapevoli di non avere scelta. Sento il ruggire insopportabile e alieno di una di quelle maledette belve da battaglia, ed è troppo vicino per indugiare ancora. Scendiamo, e mentre il puzzo fetido dell'urina e della decomposizione ci riempie i polmoni oso pensare per la prima volta che possiamo farcela. Soltanto io sapevo del buco che Dargh il ladro scavava da anni nel muro della sua cella; me lo confidò durante il breve periodo di tempo in cui divisi la cella con lui per aver tentato di rubare del cibo dalle cucine reali. Avvenne più di dieci anni fa, e ringrazio me stesso di non aver riferito la cosa alle guardie, perchè se quel buco esiste ancora e porta all'esterno della fortezza possiamo uscirne vivi. C'è una torcia spenta appoggiata ad una parete umida. L'accendo, e l'inferno delle segrete si svela dinanzi ai nostri occhi lacrimanti per il fetore, paralizzandoci per qualche secondo. Quasi tutti i poveri diavoli che giacciono in condizioni disumane nelle celle brulicanti di vermi e mosche sono ignari di ciò che sta accadendo nel mondo sopra le loro teste. Ci chiamano protendendo tra le sbarre braccia scheletriche che impongo ad Elshan d'ignorare, mentre cerco con crescente frenesia la cella di Dargh, pregando che in dieci anni abbia ultimato il suo lavoro. La trovo, ed è vuota. Devo aprirla, ma non ho chiavi da girare nella serratura nè oggetti per sfondare le spesse sbarre arruginite. Elsham deve aver intuito le mie intenzioni, perchè si accanisce contro la porta della prigione in maniera furiosa, menando calci, caricando di spalla, spingendo con ogni sua forza. Il baccano è formidabile, perchè tutti i prigionieri lo incitano con urla e bestemmie, picchiando sui muri celle con qualsiasi cosa abbiano a disposizione. Devono credere che siamo venuti a liberali, ed io non farò nulla per privarli di una tale piacevole illusione, almeno finchè non vi sarò costretto. La porta cede! Elshan è riuscito a sfondarla, doveva essere ben erosa dagli anni, e si è abbattuta al suolo con un clangore terribile, ch'è risuonato al di sopra delle urla dei carcerati. E' tempo...è tempo di cercare il buco di Dargh...

Sono felice. Il buco esiste, ed Elshan in questo istante stà correndo verso la salvezza, lontano dal castello assediato e dalla crudeltà dei Nuovi Uomini. Non so quale sarà il futuro cui andrà incontro, ma mi basta saperlo vivo, e mi piace immaginare che potrà un giorno guidare la riscossa dei Vecchi Uomini contro gl'Invasori tatuati che odio più d'ogni altra cosa.

Il passaggio non è abbastanza largo per permettermi di passare. Non m'importa, sono felice per la vita di mio figlio, per il modo in cui m' ha abbracciato prima di scomparire nel muro, per non aver scelto di darmi la morte quando eravamo soli nella sala e vedevamo l'immane esercito riversarsi nel cortile. Un giorno Elshan avrà dei figli, e racconterà loro di suo padre con orgoglio e commozione. Non parlerà dell'umile servo, non del sottomesso vecchio che sopportava umiliazioni continue senza mai reagire. No. Parlerà del coraggioso genitore che lo condusse alla salvezza e rimase a morire nella fortezza invasa, dopo averlo salutato senza versare una sola lacrima. Tutto questo, e solo questo, mi dà la forza di affrontare gli ultimi momenti. I prigionieri si sono fatti improvvisamente silenziosi, e vedo distintamente il bagliore d'innumerevoli torce avvicinarsi inesorabilmente accompagnato dal rimbombare di passi Nuovi e tremendi. Ho preso il pugnale, e lo punto alla gola.

Vengono, è ora...

 

< INDIETRO